Ma il pellegrinaggio deve essere qualcosa di più che puro e semplice turismo. Vorrei dire: esso deve realizzare ciò cui mira anche il turismo, in una forma migliore, più fondamentale e più pura. Per questo gli sono essenziali per un verso una maggiore semplicità, per l’altro una più grande tenacia.
Del pellegrinaggio è propria quella semplicità che accetta la nostra condizione di pellegrini. Se infatti vogliamo godere dappertutto del medesimo standard di consumi e del medesimo stile di vita, possiamo girare il mondo quanto vogliamo: resteremo sempre chiusi in casa nostra. Potremo sperimentare davvero qualcosa “d’altro” soltanto quando saremo diventati diversi e vivremo in un altro modo: se, nella semplicità della fede, torneremo a essere intimamente pellegrini, uomini in cammino.
Qui entra in gioco l’intima e profonda tenacia della fede. Il pellegrinaggio non si interessa delle bellezze naturali o di particolari esperienze vissute, che poi, a dire il vero, non ci fanno affatto uscire da noi per entrare in una reale novità. L’obbiettivo del pellegrinaggio non è in ultima istanza il godersi lo spettacolo della bellezza, bensì rompere il proprio guscio e mettersi in relazione con il Dio vivente. Noi cerchiamo di conseguirlo visitando i luoghi della storia della salvezza. Le loro vie, quelle interori, che passano per i cuori, e quelle fisiche, variamente lastricate e agevoli, non sono tracciate in direzioni arbitrarie o senza costrutto. Noi girovaghiamo, per dir così, nella geografia della storia di Dio: là dove egli stesso ha posto i suoi cartelli indicatori. E siamo in cammino alla volta di un luogo che ci è già stato segnalato, non verso una località che cerchiamo da noi.
Entrando nella storia di Dio e prestando attenzione ai segnali che la Chiesa – per la potenza della sua fede – ha predisposto, noi andiamo anche gli uni verso gli altri. Divenendo pellegrini, abbiamo la possibilità di godere ancor meglio di ciò che il turismo cerca: il diverso, il distacco dalle cose, la libertà, un incontro più profondo con la realtà e con le persone. Vorrei perciò raccomandare di cuore che abbiamo a vivere il pellegrinaggio proprio come pellegrinaggio, e di non lasciare che esso si riduca a una gita o a un viaggio di piacere. Che esso non sia un puro e semplice partire, quanto piuttosto un entrare nella storia che Dio ha tracciato con l’uomo: immedesimandoci con i “segnali” della salvezza che egli ha collocato per noi lungo la via, e con quella semplicità che è uno dei tratti essenziali della fede. Solo allora questo pellegrinaggio diventerà un’esperienza vissuta grande e durevole.
JOSEPH RATZINGER
Omelie romane 24 maggio 1983
Del pellegrinaggio è propria quella semplicità che accetta la nostra condizione di pellegrini. Se infatti vogliamo godere dappertutto del medesimo standard di consumi e del medesimo stile di vita, possiamo girare il mondo quanto vogliamo: resteremo sempre chiusi in casa nostra. Potremo sperimentare davvero qualcosa “d’altro” soltanto quando saremo diventati diversi e vivremo in un altro modo: se, nella semplicità della fede, torneremo a essere intimamente pellegrini, uomini in cammino.
Qui entra in gioco l’intima e profonda tenacia della fede. Il pellegrinaggio non si interessa delle bellezze naturali o di particolari esperienze vissute, che poi, a dire il vero, non ci fanno affatto uscire da noi per entrare in una reale novità. L’obbiettivo del pellegrinaggio non è in ultima istanza il godersi lo spettacolo della bellezza, bensì rompere il proprio guscio e mettersi in relazione con il Dio vivente. Noi cerchiamo di conseguirlo visitando i luoghi della storia della salvezza. Le loro vie, quelle interori, che passano per i cuori, e quelle fisiche, variamente lastricate e agevoli, non sono tracciate in direzioni arbitrarie o senza costrutto. Noi girovaghiamo, per dir così, nella geografia della storia di Dio: là dove egli stesso ha posto i suoi cartelli indicatori. E siamo in cammino alla volta di un luogo che ci è già stato segnalato, non verso una località che cerchiamo da noi.
Entrando nella storia di Dio e prestando attenzione ai segnali che la Chiesa – per la potenza della sua fede – ha predisposto, noi andiamo anche gli uni verso gli altri. Divenendo pellegrini, abbiamo la possibilità di godere ancor meglio di ciò che il turismo cerca: il diverso, il distacco dalle cose, la libertà, un incontro più profondo con la realtà e con le persone. Vorrei perciò raccomandare di cuore che abbiamo a vivere il pellegrinaggio proprio come pellegrinaggio, e di non lasciare che esso si riduca a una gita o a un viaggio di piacere. Che esso non sia un puro e semplice partire, quanto piuttosto un entrare nella storia che Dio ha tracciato con l’uomo: immedesimandoci con i “segnali” della salvezza che egli ha collocato per noi lungo la via, e con quella semplicità che è uno dei tratti essenziali della fede. Solo allora questo pellegrinaggio diventerà un’esperienza vissuta grande e durevole.
JOSEPH RATZINGER
Omelie romane 24 maggio 1983
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