giovedì 30 maggio 2019

Le cause del problema più serio dell'Italia

La scomparsa del sorriso - reprise

«Io amo l’umorismo vero. L’umorismo non si fa travolgere dalla vicenda e nello stesso tempo vi partecipa. I due elementi legano difficilmente e per questo sono merce rara. Tant’è vero che riesce bene solo a Dio» amava ricordare il nostro amato cardinale Giacomo Biffi. E questo blog a lui dedicato non poteva che ritrovarsi nell'analisi proposta recentemente dal direttore dell'Osservatore Romano. Per inciso va anche ricordato che gli ottimi Samuele Pinna e Davide Riserbato hanno appena pubblicato un libro sulle passioni letterarie di Biffi intitolato: Filastrocche e canarini. Il mondo letterario di Giacomo Biffi pubblicato da Cantagalli che vi consiglio vivamente.

Da molto tempo medito su questo tema assai scottante e di estrema attualità.

La vena comica degli italiani sembra un po' inaridita. Anche in televisione da anni non assistiamo a serate comiche di vero livello (gli ultimi ricordi li associo a Mai dire Gol e a Zelig senza dimenticare i Guzzanti). Persino la Milano gaudente degli ultimi anni post-Expo non pare più abitata da quella grande scuola di Cabaret punto di riferimento per tanti artisti. Applicando la mia non più giovane mente sono risalito a tre cause che propongo al dibattito culturale.


La prima causa evidente del declino dell'umorismo è l'assenza di autorità. L'uccisione del padre, il voler essere profeti e non maestri, l'elogio della non professionalità e dell'incompetenza causano una riduzione dell'umorismo. Chi non ha sorriso, almeno interiormente, di fronte ai parrucconi che esibiscono affermazioni con sicumera ridondante? Il vecchio zio che sa un po' tutto o il professore di gran nome o la catechista certa della sua banalità fanno ridere da sempre. Se nessuno più vuole dire cose con certezza non ci si può nemmeno ridere. La certezza delle esposizioni causa meraviglia se è associata alla verità. L'incertezza, il dubbio e la malinconia fanno meno ridere. Il continuo cambiare di posizione rende impossibile una vera e condivisa ironia. L'assenza del criterio di autorità e quindi del ripetersi di verbi, parole e modalità causa una difficoltà per gli umoristi che non sanno dove attaccare la loro arte.


In secondo luogo è il dilagare della pornografia ad uccidere l'umorismo. la pornografia è tecnicamente triste. Il sesso non fa ridere. Il sesso fa tremare, eros e morte sono una cosa sola. La pornografia uccide la tragedia che è il sesso che ha a che fare con la vita e con la morte. Una sessualità che non trema e non rischia con la vita ma che da essa è sempre più sganciata (non lo è mai totalmente, ricordatelo!) è causa di tristezza. Una buona parte della fine dell'umorismo è dovuta al dilagare della pornografia e della volgarità. L'eleganza porta umorismo, la trivialità fa ridere solo se è presente l'eleganza e come opposizione ad essa. Un mondo volgare non genera l'umorismo e cede il passo alla violenza del sarcasmo e della banalità. Molte battute volgari possono far ridere solo in un mondo in cui la volgarità è bandita. Oggi che la volgarità è eretta a sistema comunicativo l'umorismo soffre.


Da ultimo anche noi preti siamo colpevoli. La terza causa della crisi dell'umorismo è la sciatteria della liturgia. Ma voi avete in mente quanto si ride in sacrestia? Una liturgia sciatta e banale che non è capace di mettere l'uomo di fronte al mistero ma che si riduce a qualche candelina attorno ad un discorso moraleggiante e noioso non genera umorismo. Il mistero di Dio è capace di equilibrare tutte le cose e di rendere il soggetto nel giusto rapporto con esse, qui nasce l'umorismo: nell'equilibrio della valutazione delle realtà seconde generato dal giusto rapporto con la realtà assoluta. Solo una vera ripresa della liturgia nella sua solennità genererà l'umorismo vero non sguaiato e ricco di saggezza. Non a caso i saggi ebrei sono molto amanti dell'umorismo e ne posseggono uno tutto loro. I veri teologi sanno ridere, soprattutto si sè stessi e della propria scienza proprio perchè ne conoscono l'importanza. Sempre il nostro amato Cardinale usava dire: «Un cardinale che non gioca a bocce o non si affaccia mai a contemplare la luna, non scrive filastrocche per i bambini della scuola materna o non alleva canarini, ma compie solo quello che in ogni caso gli verrà attribuito dalle biografie ufficiali, è più pericoloso per la cristianità di un eresiarca».

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