martedì 3 novembre 2020

Il Signore ha chiamato don Celeste Dalle Donne

Dal racconto della passione che abbiamo ascoltato, sappiamo che prima di andare in croce il Signore Gesù ha voluto associare alcuni uomini alla sua missione in maniera singolare. Un uomo con una brocca d’acqua indicò agli apostoli il luogo dell’ultima cena. Essi prepararono la Pasqua e ne divennero per sempre i testimoni. Nessuno dei discepoli poteva in quel momento immaginare cosa questo avrebbe significato per il senso della sua vita e per quello di di tutta la storia umana.

Il Signore ci chiama e ci trasforma, o meglio ci conforma, alla sua figura, questo è il mistero dell’ordine sacerdotale. Ciò che è accaduto ai dodici apostoli costituisce il canone di ciò che accade sempre alla Chiesa. Il Signore ci chiama in passaggi di cui non comprendiamo subito il senso ma che dobbiamo seguire con fiducia considerato che a chiamarci è un Padre buono.

Invero, non sappiamo come il Signore abbia chiamato don Celeste nell’ultima ora e nemmeno come lui abbia vissuto questo momento ma sappiamo che molte volte il Signore lo aveva chiamato e che lui aveva risposto sempre con prontezza.

Il Signore chiamò don Celeste da bambino quando, facendo il chierichetto, intuì che voleva servire all’altare per tutta la vita. I Dalle Donne erano una famiglia semplice del popolo milanese. Don Celeste perse il papà a soli 11 anni e la madre non aveva i soldi per pagargli gli studi. Fu un generoso canonico del Duomo ad offrirsi di aiutarlo pagandogli la retta del seminario. Don Celeste ricordò sempre questa carità ricevuta e anche per questo fu poi sempre molto generoso coi più giovani. A lui si debbono quasi tutte le gratuità che abbiamo offerto in questo anno nelle vacanze degli Oratori (e molti gelati e molte pizze).

La chiamata del Signore prevedeva per lui alcuni passaggi curiosi.

Da giovane seminarista fu scelto per fare il “caudatario”, cioè il chierichetto che portava lo strascico del vestito che i Cardinali prima del Concilio ancora indossavano nelle cerimonie più solenni. Oggi ci fa sorridere un tale ruolo ma anche questo dettaglio rimase impresso a don Celeste non per farne una inutile polemica sugli abiti ecclesiastici ma perché quel ruolo gli permise di osservare da vicino il Beato Card. Schuster dal quale rimase profondamente colpito. Mentre celebrava la Messa, Schuster era integralmente assorto nel mistero, assunto nella realtà che celebrava con tutto il suo essere. Rimarrà per sempre questo il suo modello di come si deve celebrare l’eucarestia. Non spettacolo, non esibizione ma l’intima unione col mistero di Cristo, questo pensava mentre reggeva la coda dell’abito del vescovo. Il Signore chiama spesso attraverso la testimonianza dei Santi ma anche attraverso circostanze inattese e spesso divertenti.

Stimato in seminario per la sua concretezza, da prete novello don Celeste fu scelto dall’Arcivescovo Montini per la segreteria della Missione di Milano del 1957, uno dei più grandi avvenimenti ecclesiali in Italia di tutto il Novecento. Una nuova Chiamata. Don Celeste prese il compito di indirizzare i vescovi a predicare all’interno delle fabbriche e controllare che rimanessero nel tema che era stato loro affidato. In questo ruolo delicato, e non sempre facile, ebbe modo di conoscere molti vescovi di varie parti d’Italia. Ma ebbe anche l’occasione di rendersi conto della dura condizione di vita degli operai, padri e madri di quelle stesse famiglie che avrebbe poi incontrato nella periferia di Milano. Capì che in questo c’era ancora una volta una chiamata.

Alla segreteria della missione fu molto apprezzato tanto che un vescovo della Toscana chiese al Cardinale di Milano che glielo lasciasse come segretario. Don Celeste, obbediente al Signore, rispose che preferiva andare a fare l’Oratorio.

Poi la chiamata in Oratorio nella Parrocchia di san Michele e Santa Rita in piazzale Corvetto a Milano, quando gli oratori si aprivano alle 13 perché le mamme non sapevano più dove mettere i bambini. Erano gli anni del boom demografico: Milano si riempì di Oratori popolosi in cui si giocava e si insegnavano la preghiera e la dottrina, la morale sarebbe venuta da sè. Don Celeste amava organizzare le gite e i pellegrinaggi, seguì molti giovani e diversi li indirizzò al sacerdozio. Ebbe l’occasione di conoscere quel popolo milanese semplice e devoto che è il vero patrimonio della nostra Chiesa fin dai tempi di sant’Ambrogio.

Si trovò pronto, (dopo 28 anni nello stesso Oratorio!) alla chiamata a diventare parroco in un bel paese della Brianza: Bulciago. Dopo una piccola iniziale difficoltà si trovò bene e resse la parrocchia per 23 anni identificandosi interamente con essa. Non so molto di questi anni. Sono però testimone del fatto che molti bulciaghesi lo hanno sempre cercato per la Confessione ed il consiglio apprezzando l’equilibrio dei suoi giudizi.

Durante i pranzi della Domenica che don Celeste aspettava con amicizia e nei quali sorrideva delle mie balzanerie, sovente io mi lamentavo delle lungaggini del lavoro per il nuovo Oratorio. Un giorno mi portò a Bulciago e mi fece visitare la chiesa, la casa, l’oratorio, la scuola materna, il santuario, ecc, tutte opere che lui aveva provveduto a sistemare. Mi spiegò che ristrutturare l’oratorio, mantenere la casa parrocchiale e abbellire la Chiesa, senza sfarzo ma con cura, è un modo di voler bene alle persone. Insomma cercava di spiegarmi che anche nelle occupazioni più pratiche si può leggere una chiamata del Signore.

E’ probabilmente a motivo dello stupore della Chiamata che ci chiede di affrontare anche ciò che non pensavamo o di cui non avevamo voglia che don Celeste era un uomo complessivamente sereno e ed estremamente pratico. Non gli interessavano le vesti e gli onori e nemmeno i titoli. Gli interessava aver fatto quello che doveva fare.

Credo che anche a questa ultima chiamata del Signore si sarà presentato pronto, certo che il Signore ha preparato anche in questo passaggio qualcosa di buono di cui sorridere.

Don Celeste si presenta a san Pietro portando quello che serve, in quello stile poco appariscente di chi ci tiene che le cose vengano fatte e che vadano bene. Un po’ come quell’uomo con la brocca, di cui non sappiamo il nome, ma senza il quale gli apostoli non avrebbero trovato la strada per la sala dell’ultima cena.

1 commento:

  1. Grazie! Mi è piaciuto ascoltarla, il giorno del funerale, e l'ho riletta volentieri.
    È vero, anche con una piccola azione, semplice, diventiamo opera dentro il mondo.E così senza saperlo diventiamo portatori di qualcosa di grande.

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