Samantha è un racconto struggente che si svolge nella periferia di Milanoe parla di due adolescenti, Andrea e Samantha, appunto. Sono figli di una Milano proletaria della fine del '900. Non si parla più di lotta di classe ma di lotta per sbarcare il lunario in una quotidianità fatta di scalinate oscene, graffiti e gas di scarico...
Ecco il testo (in grassetto):
Samantha scende le scale di un policentro attrezzato comunale,
trentanni e poi l'appartamento sarà suo, o meglio,
dei suoi genitori che ogni mese devono strappare il mutuo da uno stipendio da fame,
ma Milano è tanto grande da impazzire
e il sole incerto becca di sguincio, in questa domenica d' aprile,
ogni pietra, ogni portone ed ogni altro ammennicolo urbanistico,
ma Samantha saltella, non sa d' avere lunghe gambe da cervo
e il seno, come si dice, in fiore, teso, sopra a un corpo ancora acerbo
e Samantha, Samantha ancora non sa d' avere un destino da modella
e corre allegra lungo i graffiti osceni delle scale quasi donna, quasi bella.
L'esordio è tutto. Samantha è presentata nel suo habitat. Lo slancio dell'adolescenza col suo desiderio di bellezza, di gioia e di vita sullo sfondo della periferia grigia di Milano. Non si tratta solo dello squallore delle scale ricoperte di graffiti e degli "ammennicoli urbanistici". Si parla anche del grigiore di chiamare una casa "policentro attrezzato comunale" e di una vita che può solo lottare per avere una casa dopo trent'anni di lavoro sudato da marito e moglie che per questo probabilmente non possono permettersi più di una figlia. Non siamo nel temo degli alberi degli zoccoli è una povertà diversa e grigia che conosciamo bene ma nella quale c'è meno poesia
E fuori: Milano muore di malinconia, di sole che tramonta là in periferia,
di auto del ritorno, famiglie, freni e gas di scarico.
Lontano il centro è quasi un altro mondo, San Siro un urlo che non cogli a fondo,
ti taglia un senso vago di infinito panico.
Spunta un gasometro dietro a muri neri, oziosi vagolano i tuoi pensieri
e in aria il cielo è un qualche cosa viola carico...
Milano qui è la grande città delle periferie, non quella dell'Expo non è la Milano da bere e nemmeno la città della moda della scala o di san Siro pieno di coppe e di campioni.
Andrea è giù nel cortile, jeans regolari e faccia da vinile*,
giacca a vento come dio comanda e legata al polso la bandana, un piede contro al muro e lì
l' aspetta perchè vuol parlarle, niente, forse d' amore, ma non sa che dire,
con le parole quasi lombarde che non sanno uscire
e si accende rabbioso una Marlboro di alibi
Andrea è un "tamarro" ma qui non fa paura, non è violento ma debole. Come tutti vuole parlare d'amore ma non possiede le parole e come dargli torto.
e si guardano di sbieco, appena un cenno istintivo di saluto,
ma a Samantha batte il cuore da morire mentre Andrea rimane muto;
e lei ritornerà con le MS per suo padre steso davanti a qualche canale
e lui mediterà al bar dietro a una birra che la vita può far male...
Guccini è un maestro della descrizione semplice, accessibile ed insieme evocativa. Non c'è difficoltà a comprendere ma il sentimento cresce nella sua realtà e si muove la nostra compassione cioè ci mettiamo tutti a sentire il dramma urbano di due adolescenti che tutti abbiamo visto e forse con troppa borghese fretta abbiamo battezzato come immaturi, banali o già sentiti.
E Milano sembra che sia li a abbracciarsi quei due che non sapranno più parlarsi,
solo sfiorarsi in un momento vago e via.
Samantha presto cambierà quartiere per un destino che non sa vedere,
e Andrea diventerà padrone d' una pizzeria.
Ecco qui: la storia si conclude senza misteri, senza polemiche, senza gesti eroici. Il più delle volte nella vita va così. Chi di noi non ha nel cassetto dei ricordi una storia andata a male? Una prima storia di affetto che poi è stata spazzata via dalla vita per motivi più importanti, si dice così.
Ed io, burattinaio di parole, perchè mi perdo dietro a un primo sole,
perchè mi prende questa assurda nostalgia?
Ma la sorpresa è tutta in questi due versi finali. Compare all'improvviso il narratore che fin'ora è stato alla finestra con la sigaretta in mano a sorprendersi partecipe di una vicenda d'altri. La definizione che il maestro dà di sé è indimenticabile: burattinaio di parole. Giocare con le parole, farle muovere e farle vivere è la magia migliore che il buon Dio abbia dato agli uomini. Parole che hanno il compito di dire la realtà. L'equilibro tra la chiarezza, la semplicità, l'accessibilità ed il saper cogliere il mistero della vita è l'arte della parola. Mi trovate un altro artista che in una canzone ha inserito parole come: ammennicolo, vinile, sguincio e gasometro?
Perchè mi prende questa assurda nostalgia? Lo slancio di due adolescenti innamorati suscita emozione anche in chi di amori ne ha già vissuto più d'uno. Anche in chi ha già amato, sofferto, tradito e ripreso come l'età porta a fare. Perchè mi prende questa assurda nostalgia? mi spiace qui non si può razionalizzare se non a costo di uccidere la domanda e trasformarla in letteratura. Intanto però siamo conquistati da una durezza e una dolcezza che ci riporta al cuore.
Straordinario l'assolo di sax finale.
*vinile: i vecchi dischi a 33, 45 o 75 giri avevano al centro delle immagini ed erano contenuti in buste di carta quadrate il più delle volte con la foto del cantante.
Non conoscevo questa canzone, sinceramente, sebbene conosca a memoria moltissime canzoni di Guccini. Da un punto di vista puramente sintattico e di scelta dei vocaboli mi sembra una delle canzoni meno riuscite. Musica (quasi più un sottofondo che una melodia vera e propria - come molto spesso del resto ...) e testo non si trovano quasi mai: metrica troppe volte fuori tempo. Anche la trama sembra più un'incompiuta tirata via per la fretta .... Proverò a riascoltarla.
RispondiEliminaQuesta canzone è stata premiata dal mensile max la canzone d'amore più bella dell' anno 1993
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