martedì 21 aprile 2015

Elio Toaff, il professore

- Al sabato io riposo tutto il giorno, fino a far arrabbiare mia moglie eh eh. Di venerdì aspetto alla finestra che spunti la prima stella per vedere quando inizia il sabato e da lì in poi fino alla prima stella della domenica non faccio proprio nulla eh!
- scusi professoò, e se iè nuvolo?
- riposo ancora un po' che tanto non si sbaglia!

Su di una sedia di ferro e nylon appena all'ombra del tendone di un bar non certo di lusso sedeva Elio Toaff il più grande ebreo dell'Italia repubblicana che oggi è entrato in paradiso.

Era un grande studioso ed insegnante e fu dal 1951 al 2001, per 50 anni!, il rabbino capo di Roma.   Lo chiamavano "Professore" gli amici di Capoliveri il paesino dell'isola d'Elba di cui era originaria la moglie (una Luperini) e in cui lui trascorreva le vacanze. E' stato sempre in ottimi rapporti con la Chiesa Cattolica di cui apprezzava soprattutto i preti più semplici. Fu capace da subito di riconoscere i meriti enormi di Pio XII verso gli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Grande amico di Papa Woityla vissero la storica visita del Papa alla sinagoga di Roma. Giovanni Paolo lo nominò nel suo testamento unico con Ratzinger. Era stimato da tutti e fu anche proposto come senatore a vita. Anche oggi se digiti "Elio" su Google compare prima lui che il cantante.

L'ho sentito nominare da mio padre che lo aveva incontrato alla Coop a fare la spesa e, sforzandosi non poco nel vincere la nostra naturale timidezza, lo aveva salutato. Rispondeva sempre gentile e sorridente questo anziano signore ironico e profondo dal cognome strano che alle mie orecchie costituiva un tutt'uno col nome eliotoaff. Lo sentivo nominare con rispetto e venerazione dal mio papà ateo e poco incline a concedere troppo alla fama giornalistico televisiva. Io non capivo nemmeno troppo cosa fosse un rabbino, pensavo alla caccia ai polpi e ai giochi con Lorenzo e la Susy.

Poi, sapete, diventare prete persino in un paesino - uno strano incrocio tra la Maremma e la Sardegna - ammette alla società dei grandi e consegna un ruolo senza che si abbiano meriti. Il più eccezionale dei parroci che abbia mai avuto, don Emanuele Cavallo (chissà quando potrà stendere qualche memoria su di lui) siciliano purosangue innamorato di Cristo come un martire dell'antica Roma, mi disse un giorno: eh, se vuoi te lo faccio conoscere. Don Emanuele quando dice "se vuoi" vuol dire che tu vuoi. Ma io volevo davvero a 27 anni conoscere il rabbino. Dopo lo storico incontro con Giovanni Paolo II anche io ignorante ed orgoglioso giovane prete sapevo chi era. Per andare al bar in piazza Garibaldi misi l'unica camicia da prete  e l'unico paio di pantaloni lunghi che mi porto all'Elba. Sandali, ovviamente, ma con un po' di vergogna.

Sedeva come sempre al tavolino con davanti un bicchiere mezzo pieno. Vestiva pantaloni e maglietta chiara e sulla testa un cappellino di quelli sgualciti. Al bar che sta vicino alla Coop non lontano da san Calocero, la vecchia chiesa dei Gelsi. Era del tutto in linea con gli altri uomini del paese che alla sera vedevo  scambiarsi rare parole seduti sui muretti in silenzio col toscano in bocca.
Accolse con calore il parroco del paese e si scambiarono un po' di cortesie prima di ordinare qualcosa da bere. Salutò anche me con un sorriso cordialissimo ed ebbi l'impressione di essere un nano al cospetto di un gigante nascosto ma perfettamente al suo posto. Lo circondava un'aurea di rispetto da parte di tutti. Nessuna bestemmia toscana e nessuna volgarità della moda sembrava minimamente intaccarne la figura. I suoi occhi si accesero al ricordo di Giovanni Paolo II e della sua calda e sincera amicizia. Con stima e rispetto citava anche la sapienza di Benedetto e sorrise all'idea che fosse diventato Papa alla soglia degli ottant'anni. Cafone come sempre, io feci un'inutile domanda sulla situazione politica di Israele. Don Emanuele sussultò sulla sedia e mi sbranò con un'occhiataccia. Non rispose e sorrise abituato a non considerare ma nemmeno infastidirsi della banalità. Non tradì nessun pensiero ma ne aveva molti.

Fu bellissimo quando spiegò del suo modo di obbedire alla Legge e di come si sentisse del tutto a casa sua in Italia. Un paese che anche lui aveva aiutato a ricostruire dopo le rovine della guerra.  Lo shabbat, il grande riposo del sabato è l'occasione della contemplazione dell'Opera di Dio. Lui opera e noi osserviamo e godiamo della vita nella sua interezza. Ogni pensiero di operosità brianzola viene dopo e comunque conta meno. Quale sarà il senso nella storia della permanenza di Israele? A me basterebbe questo.

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