mercoledì 13 maggio 2015

L'omelia di Scola alla Festa dei fiori

Ricorre nel 2015 l'ottantesimo anniversario della fondazione del Seminario di Venegono. La scuola teologica più felice e fruttuosa che l'Italia (e il mondo?) abbia visto in tutto il 1900. Alla tradizionale festa dei fiori il Cardinale Scola ha pronunciato questa l'omelia che riporto qui sotto (forse sono solo gli appunti). 
Il rapporto tra Scola e Venegono è uno degli oggetti preferiti del pettegolezzo e dell'ironia diocesana. Che toccasse a lui di celebrarne la ricorrenza seduto sulla cattedra più alta molti non lo avrebbero mai detto. La divina provvidenza, si sa, sorride della pochezza dei commenti umani. 
Non ero presente alla festa dei fiori per due motivi. Il primo è che mi è sembrato più giusto che partecipassero i preti più avanti negli anni di Messa che conservano di Venegono un ricordo vivissimo. Pertanto sono stato a casa a guardare la parrocchia. Il secondo motivo è che trovo personalmente molto difficile partecipare ad un raduno del clero senza commettere qualche peccato di mormorazione nei confronti dei superiori.
Appartengo a quella generazione che ha vissuto una stagione non felicissima in quel di Venegono ma anche questo conta poco. Se posso, ci ritorno sempre volentieri. Ecco l'Omelia del Cardinale:

Il percorso dell’evangelizzazione

Il passaggio del celebre Vangelo di oggi è inserito nello stringente dialogo tra Gesù e la donna. La Samaritana, alla fine, si sente letta in profondità, nella sua vera sete. Partendo dal bisogno dell’acqua, Gesù la porta a scoprire il desiderio di pienezza che la abita.
Da qui la sorpresa: «Vedo che tu sei un profeta!» (Vangelo, Gv 4,19). Nasce la domanda circa il luogo in cui bisogna adorare Dio. Ad essa Gesù risponde: «Credimi, donna… viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4,21a.23). Lo spirito infatti è principio di vita nuova e perciò di culto nuovo: un culto “nella verità” perché avviene mediante Gesù, colui che ci rivela il Dio Uno e Trino.
Dal bisogno, al desiderio, alla proposta: un percorso di evangelizzazione preciso, più che mai oggi attuale. Un percorso le cui tappe sono tutte necessarie. Hanno però un ritmo personale. Gesù «invita sempre a fare un passo in più, ma non esige una risposta completa se ancora non abbiamo percorso il cammino che la rende possibile. Semplicemente desidera che guardiamo con sincerità alla nostra esistenza e la presentiamo senza finzioni ai suoi occhi, che siamo disposti a continuare a crescere, e che domandiamo a Lui ciò che ancora non riusciamo ad ottenere» (Evangelii gaudium 153). Per un sacerdote l’umile preghiera di domanda è alimento quotidiano.

Dio con gli uomini

«Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro» (Lettura, Ap 21,3). Dio e l’uomo insieme. Cristo, fin nella sua natura di vero uomo e di vero Dio, rivela questo inscindibile essere con. La consapevolezza di questo mistero di comunione che è alla radice della nostra esistenza cristiana permette al Beato Montini di affermare con severità: «In questo mondo che non ama più e che si appesantisce ogni giorno nella sua civiltà di cemento e di assegni bancari, noi amiamo ancora la forza primigenia che viene dal cielo e nel nostro cuore arde il Dio-Amore» (G. B. Montini, Ai preti, 22 ottobre 1957). È l’augurio che apre ad una speranza affidabile, così la designò Benedetto XVI nella sua Enciclica (Spe salvi 1-2).

Comunione realizzata

La pienezza della comunione di Dio con gli uomini è descritta dall’Apocalisse nei termini, innanzitutto, di una relazione nuziale in cui si documenta la pienezza della gioia, della vita («e non vi sarà più la morte, né lutto né lamento né affanno» Ap 21,4). In secondo luogo questa comunione verticale realizza la novità di vita («Ecco, io faccio nuove tutte le cose» Ap 21,5). Infine si esprime in termini di unità ed universalità, senza privilegi di etnia, cultura e religione: «Filistea, Tiro ed Etiopia: là tutti sono nati… E danzando [i popoli] canteranno: “Sono in te tutte le mie sorgenti”» (Salmo responsoriale). La Chiesa ambrosiana, nel suo tentativo di riforma, sta vivendo sulla sua pelle l’urgenza di evangelizzare a tutto campo, di percorrere tutte le vie dell’umano. Ognuno di noi vuol essere – come ha richiamato recentemente Papa Francesco – «discepolo di Gesù [ che ] ha il cuore aperto al suo orizzonte sconfinato e la sua intimità con il Signore non è mai una fuga dalla vita e dal mondo ma, al contrario, «si configura essenzialmente come comunione missionaria» (Evangelii gaudium, 23)» (Messaggio per la 52° Giornata Mondiale per le vocazioni, 29 marzo 2015). Il Seminario ed il presbiterio sono luogo di comunione missionaria quando vivono come comunità di sequela guidata.

Il metodo della costruzione

I cieli nuovi e la terra nuova della Gerusalemme celeste iniziano nel già e non ancora del Regno presente nella Chiesa, l’edificio di Dio di cui parla San Paolo nella Prima Lettera ai Corinti. Di questa Chiesa incarnata nella storia la grazia del sacramento dell’Ordine ci ha costituito in qualche modo architetti. Vigiliamo sul metodo della costruzione: «Ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova che è Gesù Cristo» (Epistola, 1Cor 3,10b-11). Amiamo quindi la nostra Chiesa ambrosiana, sacramento che fiorisce su questo unico solido fondamento. Affidiamoci alla Madonna dei Fiori perché ci conduca a Gesù. Amen.



Seminario arcivescovile di Venegono
Festa dei Fiori

nell’80° di fondazione del seminario
Ap 1,10.21,2-5; Sal 86 (87); 1Cor 3,9-11.16-17; Gv 4, 19-24

Venegono, martedì 12 maggio 2015


Il commento del prete medio intellettuale dice: "è complicato il Cardinale. La gente non lo capisce!". In verità sarebbe meglio che dicesse: "io non ho capito" o meglio "non ho sentito le solite parole per cui non mi sono impegnato a capire". Ad essere onesti è molto più difficile da capire Papa Francesco che ha origini culturali profondissime ma a noi molto meno note. Scola è proprio figlio di Venegono e della sua tradizione interrotta. Paradossalmente sembra che il Cristocentrismo dei Colombo si sia conservato maggiormente in un discepolo di Balthasar e Giussani che nei gestori della struttura posta in cima alla collina. Ma sono tesi azzardate che non saprei fondare se non sul mio fiuto.
Io che sono basso e triviale, amo il nostro vescovo che è un vero maestro. Di teologia capisco poco faccio il catechista e amo da morire il messale ambrosiano. Imparo la fede dalle "sciure della messa delle otto". Apprezzo lo sforzo umano del Cardinale di stare dietro alla nostra infinita diocesi e quello ancora più umano di aver obbedito al Papa amico nel venire a Milano (quante rogne!). Diciamo che pensando alla sua obbedienza almeno sono spronato a perseguire la mia (molto meno difficile). Ne apprezzo la schiettezza e la concretezza nell'affrontare le questioni in maniera prudente e realistica.
L'omelia dimostra tutto il suo percorso intellettuale, umano e pastorale (nel senso "di pastore"). La centralità di Cristo nel suo pensiero è chiarissima, la riconduzione all'elemento umano della questione ecclesiale lo è altrettanto, lo sforzo di speranza deuterovaticano è encomiabile ed oggi assolutamente indispensabile.
Questo è un testo su cui varrebbe la pena di confrontarsi tra preti in profondità. Chissà quando...

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