sabato 17 marzo 2018

Sant'Ambrogio e la vittoria di Cristo di Simone Simeoni

All’alba del IV secolo l’Impero romano era confuso e travagliato da cruente lotte interne, asserragliato nei propri confini mentre orde di barbari lo assediavano da ogni lato, attratti dalla ricchezza come avvoltoi dall’odore del sangue. La fase tetrarchica e il lungo impero costantiniano avevano restituito stabilità e potenza, ma per ogni problema che veniva risolto se ne aprivano di nuovi, a volte più virulenti di quelli appena risolti. Ad esempio il famoso editto di Milano del 313, emanato proprio da Costantino, aveva sì messo fine alle persecuzioni anticristiane che avevano sconvolto le province imperiali nei decenni precedenti, ma aveva anche problematizzato la situazione religiosa dello Stato. Il cristianesimo doveva ora rapportarsi in modo diverso non solo all’Impero che lo riconosceva come lecito, ma anche alle altre religioni che, agli occhi del potere romano, detenevano il suo stesso status. E, come spesso accade nel momento in cui una forza giovane e vitale si oppone ad un’altra più antica e quasi svuotata di forze, questo rapporto fu aggressivo, di scontro aperto. Ma se le antiche religioni perdevano via via vigore, sempre nuovi adepti andavano ad ingrossare le fila dei cristiani, che ben presto divennero la maggioranza della popolazione dell’Impero. Servì molto meno di un secolo perché il cristianesimo passasse dall’essere religio licita all’essere l’unica religione possibile: furono l’editto di Tessalonica del 380 e i successivi atti teodosiani a rendere questo passaggio ufficiale. Una delle figure chiave in questa transizione fu sicuramente quella di un uomo proveniente dalla profonda provincia germanica che avrebbe avuto un peso straordinario nella vita religiosa e politica del tardo IV secolo: Aurelio Ambrogio, oggi più conosciuto come il santo protettore della città di Milano.

Ambrogio nacque tra il 339 e il 340 a Treviri, nelle Gallie, terzo di tre figli di una potente famiglia senatoria, quella degli Aurelii, imparentata agli altrettanto potenti Simmaci. Il padre era prefetto del pretorio per le Gallie e per questo aveva portato la moglie e i due figli, Marcellina e Satiro, tra i marmi della fredda Treviri. Ma, cosa più importante, la famiglia di Ambrogio era cristiana da almeno tre generazioni, da quando cioè la fede in Cristo poteva portare al martirio. Nonostante ciò, la carriera che il padre di Ambrogio predispose per lui era tutta votata alla carriera amministrativa, nella quale egli sperava che il figlio potesse eccellere. Per questo lo inviò a Roma, presso le migliori scuole e i migliori precettori, per ricevere l’educazione classica. Furono anni di studio solerte per il giovane Ambrogio, ma portati a termine con successo. Giovane brillante, divenne in breve un advocatus di fama, ed esercitò per cinque anni nella grande città imperiale di Sirmio. Nel 370 ricevette dall’imperatore l’incarico di governatore della provincia di Aemilia et Liguria, che aveva la sua capitale in Milano, città nella quale Ambrogio si trasferì presto e dalla quale non sarebbe più andato via, se non per un brevissimo periodo. Funzionario capace e apprezzato, diventò presto membro eminente della cerchia che circondava l’imperatore Valentiniano I. Ambrogio era particolarmente portato nel dirimere le questioni che opponevano i cristiani di fede cattolica da quelli che aderivano all’eresia ariana. Entrambe le fazioni si rimettevano al suo giudizio moderato e capace, pur essendo lui stesso dichiaratamente cattolico. La situazione si venne a complicare però nel 374 alla morte di Aussenzio, vescovo ariano di Milano. Vi furono molti scontri tra la popolazione riguardo la fazione alla quale dovesse appartenere il suo successore, e neppure le capacità di Ambrogio sembravano riuscire a sedare quei conflitti, che presto sarebbero potuti diventare una guerra aperta. Recatosi in una basilica per tentare di recuperare la situazione, Ambrogio sarebbe stato apostrofato da una voce di bambino che lo voleva vescovo. Ben presto quello che era un grido isolato divenne il ruggito della folla intera. Ma l’eminente incarico non era assolutamente nella volontà del giovane che, secondo il costume di molte famiglie cristiane dell’epoca, non aveva ricevuto il battesimo, né aveva approfondito alcuno studio teologico. Così Ambrogio tentò di distogliere da sé il grave incarico, macchiando pure la sua prestigiosa reputazione: ordinò di torturare prigionieri, pagò delle rinomate prostitute per frequentare la sua casa e diffondere una fama di dissoluto, ma nulla sembrava funzionare. Visto fallire ogni stratagemma egli tentò persino la fuga dalla città, senza riuscirvi. Fu infine l’imperatore a costringerlo ad accettare l’investitura. Senza nemmeno concedergli la dilazione della cerimonia che richiedeva, Ambrogio venne battezzato e nominato celermente vescovo di Milano.

Ma Ambrogio seppe anche essere vescovo amato e ispiratore. Il 386 fu un anno cardine, durante il quale egli ebbe parte importante nella scoperta delle reliquie dei santi Gervasio e Protasio, ancora oggi custodite a Milano, e fu l’ispiratore della conversione di un altro grande padre della Chiesa, Sant’Agostino di Ippona. Eppure il vertice della forza e della determinazione di Ambrogio si mostrò solo nel 390. La tensione non era mai stata tanto forte nell’Impero. Con i Goti che spadroneggiavano indisturbati nell’Illirico e in Acaia, la popolazione esasperata di Tessalonica aveva infine compiuto un atto estremamente grave, linciando il capo del presidio romano in città. La reazione dell’imperatore Teodosio fu di una violenza incommensurabile: attirati i cittadini nel circo con la promessa di una corsa di carri, egli li fece invece massacrare dall’esercito. Fu una carneficina, tre ore da incubo macchiate di sangue e migliaia di morti innocenti, una efferata crudeltà, indegna di un imperatore orgogliosamente cristiano. Venuto a sapere del fatto, Ambrogio non sembrò inizialmente fare nulla. Ma ben presto Teodosio si sarebbe reso contro delle conseguenze che il suo gesto sacrilego avrebbe portato. Il vescovo si dette infatti per indisposto prima di un incontro ufficiale con lui, evitando di incontrarlo in pubblico, e quindi gli fece recapitare una lettera nella quale lo redarguiva in modo molto forte. Ambrogio scrisse all’imperatore che pretendeva da lui una pubblica penitenza, nella quale facesse ammenda del terribile peccato commesso di fronte a tutto il suo popolo, pena l’esclusione perpetua dai sacramenti, che Ambrogio non avrebbe mai osato celebrare alla presenza di un imperatore tanto sacrilego. La minaccia era chiara e dura e Teodosio sapeva di non potersi sottrarre: la notte di Natale di quell’anno fece pubblica ammenda per i suoi peccati e ricevette l’assoluzione da Ambrogio stesso. Il vescovo aveva fatto inchinare l’imperatore che reggeva le sorti della romanità, sancendo la vittoria definitiva di Cristo e del cristianesimo.Una volta eletto al seggio episcopale, egli affrontò l’incarico con intenso spirito cristiano, donando tutti i suoi beni in favore dei poveri, arrivando persino a spezzare i preziosi Vasi Sacri e ad utilizzare l’oro per il riscatto dei prigionieri. Ma di certo non fu un morbido vescovo pauperista: abituato alle lotte di potere che sconvolgevano il mondo politico romano, fu severo e implacabile avversario dell’eresia ariana, pur entrando per questo in conflitto contro la potentissima imperatrice Giustina. Seppe tanto influenzare la politica imperiale che fu probabilmente sua l’impronta più nitida e riconoscibile sul testo dell’editto che, promulgato da Graziano (di cui Ambrogio era stato precettore) nel 380 a Tessalonica, rendeva il cristianesimo religione di stato di Roma. Nel 381 arrivò a richiedere a Graziano di indire il Concilio di Aquileia, dove formulò una dura condanna dell’eresia ariana. La stessa decisione egli seppe opporre anche al senatore Quinto Aurelio Simmaco, cariatide di un mondo andato in rovina, che chiedeva il ripristino dei riti del paganesimo tradizionale e dell’altare della Vittoria che un’ordinanza di Graziano aveva fatto rimuovere dalla curia nel 382. La sua fede fu a volte persino eccessiva, fino ai limiti dell’istigazione alla lotta religiosa. Come quando ad esempio, nel 385, impedì agli ariani la celebrazione del loro rito nella basilica loro dedicata occupandola fisicamente con i suoi fedeli e introducendo anche gli inni e l’antifona cantati, che ancora oggi contraddistinguono il rito ambrosiano; o quando nel 388, minacciando la sospensione delle funzioni religiose, costrinse l’imperatore a ritirare le sanzioni previste contro i cristiani che avevano incendiato una sinagoga a Callinicum, addossandosi addirittura la paternità dell’atto, «perché non ci sia più nessun luogo dove Cristo venga negato».

Nel 391 e nel 392 vennero infatti pubblicati gli editti teodosiani, che dettero una svolta decisa e definitiva nella direzione di una cristianizzazione dell’Impero. Il paganesimo venne dichiarato apertamente fuorilegge, l’accesso ai templi fu interdetto, vennero proibite adorazioni di statue, sacrifici animali e divinazioni. La pena prevista per tali atti divenne la morte.

Nel 393 però Ambrogio fu in pericolo. L’usurpatore Eugenio, partito dalle Gallie, marciò su Milano, sperando di conquistarla per tagliare il sostegno occidentale a Teodosio e ottenere l’impero per sé. Il vescovo fu costretto a fuggire prima a Bologna e poi a Firenze, vergando nel frattempo inascoltate epistole ad Eugenio. Solo la vittoria di Teodosio poté ristabilire la situazione e nel 394, dopo un anno di “esilio”, Ambrogio fece ritorno nella sua Milano.

Qui trascorse gli ultimi tre anni della sua vita, tra appassionati studi esegetici e religiosi, perfezionando i suoi inni e, secondo la leggenda legata alla colonna che si scorge davanti alla basilica a lui intitolata, lottando vittoriosamente contro il Demonio, umiliato e costretto a fuggire, dopo essersi incastrato con le corna nel solido marmo, per aver tentato di uccidere il santo. Ambrogio morì nell’amata Milano, il 4 aprile del 397 e già prima della fine del secolo venne proclamato santo. Quale altro destino, del resto, per colui che sancì la vittoria di Cristo?

tratto da www.europinione.it

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