sabato 21 marzo 2015

Il colloquio

Ci si siede su due poltrone una di fronte all'altra; qualche volta a novanta gradi, qualche volta ad angolature imprecise. Meglio non sullo stesso divano lineare, si faticherebbe a guardarsi in faccia.  Di solito all'interno di salottini in cui non mancherà almeno una parete piena di libri. Non ci sta male un'icona o un'immagine medievale. Sconvenienti invece i quadri di foto tipo liceo perchè troppo personali. Sparsa qua e là qualche immaginetta. E si inizia il colloquio.
La stanza non deve essere mai troppo piccola, il più possibile pulita e con un po' di ordine. I libri tutti in fila senza nessuna variazione però mettono ansia. E' bene che ci sia una luce discreta. meglio se luce del sole con delle tende sì ma non pesanti.

In realtà un vero colloquio inizia molto prima, con la tristezza o il problema. Ti metti in moto con qualcosa di scomodo che vorresti rovesciare di tasca ma non riesci. Ti scava come un fastidio e magari ti toglie anche il sonno. Allora è una domanda. E la domanda va fatta. A qualcuno. 
Nella tradizione spirituale ambrosiana ci sono gesti che paiono ormai desueti eppure conservano intatti il loro valore se sono praticati nella giusta maniera. sono semplice ed essenziali ma donano gioia profonda come il vino naturale.

Per me è bello se il colloquio è preceduto da un tragitto. Che sia a piedi o in macchina poco cambia. Si esce di casa, ci si metto un vestito pulito. Si cerca di non mettere sula strada altre faccende che distraggano dalla domanda. Il tempo in macchina così si fa preparazione diretta. Come inizierò? ci sarà imbarazza? cosa penserà di me? sarò normale? sono ridicolo? L'ansia del colloquio non è mai pari a zero se si va da uno starets. Al ritorno invece si possono sfruttare le canzoni più amate anche cantandole a squarciagola.

All'arrivo ci si saluta come se fosse un incontro qualunque ma si sa che sono schermaglie di apertura. Capirà perchè sono qui? gli interesserà? Per me è meglio se inizia a parlare lo starets raccontando qualcosa di laterale ma probabilmente interessante. E' un modo per sondare un po' il terreno. Però il tempo non deve né scorrere troppo veloce né troppo lento. Bisogna che la conversazione sia naturale.
L'arte dello starets tuttavia sta nell'imprimere di tanto in tanto delle svolte, delicate ma vere, gentili e forti. La dote del discepolo è quella di accettare di lasciarsi portare, essere vero nella comunicazione, vincere l'inevitabile paura di scoprirsi. Avere il coraggio di mostrare la domanda. Può essere che ci voglia più di un colloquio per fare emergere qualche ferita e molto tempo tempo per una conoscenza vera ed approfondita.

Chi apprende comunque può apprendere da tutto. da come si trattano gli argomenti, da come si sottolineano le parole, da come si tiene sé stesi, il proprio corpo e la propri casa. da quali autori si citano e da quali parole si ripetono maggiormente. Il colloquio spirituale è in fin dei conti un'operazione in cui l'attore principale è lo Spirito santo che ha mosso a domanda e che sta costruendo il cammino della risposta. Il più delle volte lo starets non ha subito il modo di sapere se le sue parole saranno seme fruttuoso. Dovrà avere la sapienza del contadino e l'occhio del cacciatore. 

Avere atteso per ore il minimo movimento del galleggiante sull'acqua potrà essere stato un buon allenamento per l'attesa di un segnale che riveli sollievo, gioia, rilassamento ed apertura. Il corpo nel novanta per cento dei casi rivela l'azione dello spirito.
Il colloquio si termina con una preghiera ma non è indispensabile e soprattutto è sempre meglio che non ci sia sforzo. Esso stesso è preghiera.  Credo che non manchino i maestri, bisogna cercarli ed interrogarli.

Dopo il colloquio l'orizzonte è più dritto e la strada ha curve meglio disegnate. L'attenzione si riaccende e le cose storte riprendono a sembrare storte. Ci si trova un po' meglio nella volgarità del nulla contemporaneo. Anzi il nulla ci suscita quasi simpatia. C si sente come in un deserto sì ma con una buona riserva di acqua nello zaino.

Finendo più di un colloquio mi sono concesso una delle gioie più grandi della vita. Sono entrato in chiesa mascherando un po' il colletto. Mi sono diretto agli altari laterali, quelli che non vedono in molti (meglio se barocchi). Ho estratto la moneta di maggior valore che avevo in tasca e... ho acceso una cero! Che gioia. Fin da quando sono piccolo l'idea di accendere una candela e che una piccola fiamma alimentata dalla cera si sciogliesse davanti alla Madonna o ai santi mi è sempre piaciuta. Mi sembra che qualcosa di me rimanga nella chiesa mentre io - peccatore - torno vagabondo.

1 commento:

  1. ...C'erano ancora le candele di cera, e non queste con l'elettricità, mi piaceva l'odore mi piaceva pensare che venisse dagli scialli delle signore..... allora sì era gioia vera.
    Starets, mi ha ricordato " i fratelli Karamazov"

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