Con grande gioia
accolgo la proposta del vostro bollettino parrocchiale di scrivere
qualche riga per festeggiare il 20° anniversario di sacerdozio di
don Maurizio. L'occasione
mi permette di fare una breve riflessione - evidentemente -
anche sul mio sacerdozio giunto al 13° anno. A don Maurizio mi lega
una dolce amicizia nata fin dal suo arrivo a Pratocentenaro. La
semplicità del rapporto tra parroco e vicario che abbiamo
sperimentato è stata una vera grazia di cui ringrazio il Signore.
Celebrare la
ricorrenza dei 20 anni di ordinazione obbliga ad una riflessione tra
il dono della grazia sacramentale e il trascorrere del tempo nella
vita di un uomo. La grazia è eterna ed immutabile, l'opera dello
Spirito Santo però si mostra nel tempo a seconda della docilità con
cui ciascuno lascia spazio alla Parola di Dio nella sua vita. Mi
permetto una doppia riflessione riguardo al'odore del prete.
E' diventata ormai
celebre la fase di Papa Francesco che ha invitato i pastori ad avere
l'odore delle pecore. Un pastore, ci indica il Papa, deve assumere
fino in fondo il senso della vicinanza al suo gregge fino al punto di
assumerne lo stesso odore. Si può dire di aver preso lo stesso odore
quando si condividono vita, abitudini, stili, parole, simboli, tempi,
ecc. Certo, se ci imbattessimo in un pastore tutto bello profumato da
capo a piedi in testa ad un gregge maleodorante saremmo confusi e ci
domanderemmo se egli stesse svolgendo o meno il suo lavoro. Compito
del pastore è stare a capo del gregge, farsi conoscere e farsi
amare. Farsi seguire più per la propria condotta di vita semplice e
vera che per la solennità delle parole pronunciate. “Predicate, se
serve anche con le parole” insegnava san Francesco Un pastore
difende il suo gregge e comunica la vita di Dio solo in quanto
realmente vicino alla varia umanità di cui oggi è composto il
nostro mondo. Nel tempo dunque il sacerdote è chiamato a diventare
esperto di umanità. Sarà possibile questo cammino quanto più egli
stesso crescerà in maturità.
Oso azzardare anche
una seconda riflessione: il pastore deve avere il buon profumo di
Cristo. Non dell'incenso o delle sacrestie, non della carta stampata
o dei titoli di giornale ma l'odore inconfondibile della santità cui
è sensibilissimo il nostro popolo. Conoscete quella storiella
ambientata durante la prima guerra mondiale? Si trovavano a
fronteggiarsi italiani ed austriaci nella sfibrante guerra di
trincea. Dopo mesi di inutili schermaglie un soldato italiano
esasperato tenta la sortita, esce di trincea e corre verso la linea
austriaca alla ricerca di un atto eroico. Dopo poco cala il silenzio.
I compagni preoccupati si mettono a gridare: dove sei?
- Sono qui,
tranquilli! risponde quello.
- Ah! E come stai?
- Sto benone! Ho
fatto prigionieri venti austriaci!
- Bravo, bravo!
Portali qui.
- Non me lo
permettono.
Ecco: che al
sacerdote non capiti come a quello sventurato soldato. Il pastore
deve avere l'odore di Dio e condurre tutte le pecore verso il Padre
stando attento a non attardarsi nei molti lacci che oggi sono sul
campo. L'odore delle pecore può essere il dolciastro di Abercrombie,
il sudore di una classe delle medie, il grasso delle salamelle,
l'odore di cloro degli ospedali, o il profumo dei fiori di un bel
Prato... ma se mancasse nella chiarezza della sua missione e si
adagiasse nelle coccole alle pecore perderebbe di senso persino la
sua stessa figura. L'odore delle pecore è certo indispensabile ma il
profumo di Cristo è ciò che permette alle pecore di riconoscere il
Buon Pastore in mezzo a tanti mercenari.
L'augurio a don
Maurizio è che nel secondo tempo della sua vita sacerdotale possa
assimilarsi sempre di più all'unico vero sacerdote di cui tutti
siamo indegni ministri. L'offerta della propria realtà al Padre per
Cristo nello Spirito santo e sull'esempio di Maria sia la preghiera
continua che sostiene tutto il complesso dell'agire pastorale.
Grazie
del bene ricevuto e buon cammino
in
amicizia
don
Filippo
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