D. –
Buonasera, Santità. Innanzitutto grazie, perché ha trovato il tempo
– pur essendo appena arrivato a Cracovia – per collegarsi con
noi. Non ha voluto rinunciare a essere qui con noi, questa sera.
Grazie, Santo Padre. Ci sono dei ragazzi qui che, a nome dei 90 mila
italiani presenti a Cracovia, vorrebbero rivolgerLe alcune domande, e
sono qua, i giovani. Prego.
Ragazza:
Dopo
l’incidente ferroviario del 12 luglio noi abbiamo paura a prendere
il treno. Io, ogni giorno, prendo il treno per andare all’università,
e quel giorno non ero sul treno per un puro caso. Ogni giorno mi
siedo nelle prime carrozze, e lì incontravo e salutavo Luciano, uno
dei macchinisti che purtroppo ha perso la vita nell’incidente. Noi,
in quei treni, ci sentiamo a casa, ma adesso abbiamo paura. Voglio
chiedere: come possiamo tornare alla normalità? Come possiamo
abbattere questa paura e continuare, riprendere a essere felici anche
su quei treni che sono i nostri treni, la nostra seconda casa?
Papa
Francesco:
Quello
che è successo a te è una ferita; alcuni, nell’incidente, sono
stati feriti nel corpo, e tu sei stata ferita nel tuo animo, nel tuo
cuore, e la ferita si chiama paura. E quando tu senti questo, senti
la ferita di uno shock.
Tu hai subito uno shock, uno shock che non ti
fa stare bene, ti fa male. Ma questo shock ti dà anche l’opportunità
di superare te stessa, di andare oltre. E come sempre nella vita
succede, quando noi siamo stati feriti, rimangono i lividi o le
cicatrici. La vita è piena di cicatrici, la vita è piena di
cicatrici, piena. E con questo, sempre verrà il ricordo di Luciano,
di quell’altro, di quell’altro… che adesso non c’è più
perché è mancato nell’incidente. E tu dovrai, ogni giorno che
prendi il treno, sentire la traccia – diciamo così – di quella
ferita, di quella cicatrice, di quello che ti fa soffrire. E tu sei
giovane, ma la vita è piena di questo… E la saggezza, imparare a
essere un uomo saggio, una donna saggia, è proprio questo: portare
avanti le cose belle e le cose brutte della vita. Ci sono delle cose
che non possono andare avanti, e ci sono cose che sono bellissime. Ma
anche succede il contrario: quanti giovani come voi non sono capaci
di portare avanti la propria vita con la gioia delle cose belle, e
preferiscono lasciarsi andare, cadere sotto il dominio della droga, o
lasciarsi vincere dalla vita? Alla fine, la partita è così: o tu
vinci o ti vince, la vita! Vinci tu la vita, è meglio! E questo,
fallo con coraggio, anche con dolore. E quando c’è la gioia, fallo
con gioia, perché la gioia ti porta avanti e ti salva da una
malattia brutta: dal diventare nevrotica. Per favore no, questo no!
Ragazza:
Caro
Papa Francesco, mi chiamo Andrea, ho 15 anni e vengo da Bergamo. Sono
arrivata in Italia quando avevo 9 anni, quindi circa sei anni fa.
Hanno incominciato, i ragazzini della mia classe, a prendermi in
giro, dato che ero appena arrivata, con parole abbastanza offensive.
All’inizio, non comprendendo bene l’italiano, non capivo le
parole, quindi lasciavo anche stare. Poi, una volta che ho iniziato a
comprenderle, ci rimasi davvero male, però non risposi: non volevo
abbassarmi ai loro livelli. Così ho passato tanti anni, fino alla
fine della terza media, quando hanno superato il limite con tutti i
messaggi offensivi sui social, per cui praticamente mi sentivo
inutile e avevo deciso di farla finita, perché secondo me in quel
momento non contavo più niente e io mi sentivo emarginata da tutti,
dal mio paesino. … E quindi avevo deciso di farla finita, ho
provato a suicidarmi. Non ci riuscii, così andai in ospedale. E lì
avevo capito che non ero io, quella malata, che non ero io quella che
aveva bisogno di cure, che non meritavo io di stare lì in ospedale,
chiusa. Erano loro che avevano sbagliato, loro che avevano bisogno di
essere curati, non io. Così io mi tirai su e decisi di non farla
finita perché non ne valeva la pena, perché io potevo essere forte.
E infatti ora sto bene e sono forte davvero. E posso, da una parte,
anche ringraziarmi di avere trattato così male me stessa, perché
comunque ora io sono forte, un po’ anche grazie a loro, perché mi
hanno messa in quella situazione. Io sono diventata forte perché ho
creduto in me stessa, nei miei genitori, e comunque ho creduto di
potercela fare, e infatti ce l’ho fatta. E sono qua, e sono fiera
di essere qua.
Io
volevo chiederLe: dato che comunque un po’ io li ho perdonati,
perché non voglio odiare nessuno, un po’ li ho perdonati, però
comunque un po’ ci sto ancora male… volevo chiederLe: come faccio
io a perdonare queste persone? Come faccio a perdonarle per tutto
quello che loro mi hanno fatto?
Papa
Francesco:
Grazie
della tua testimonianza. Tu parli di un problema molto comune tra i
bambini e anche tra le persone che non sono bambini: la crudeltà. Ma
guarda che anche i bambini sono crudeli, alle volte, e hanno quella
capacità di ferirti dove più ti faranno male: di ferirti il cuore,
di ferirti la dignità, di ferirti anche la nazionalità, come è il
tuo caso, no? Non capivi bene l’italiano e ti prendevano in giro
con la lingua, con le parole… La crudeltà è un atteggiamento
umano che è proprio alla base di tutte le guerre, di tutte. La
crudeltà che non lascia crescere l’altro, la crudeltà che uccide
l’altro, la crudeltà che uccide anche il buon nome di un’altra
persona. Quando una persona chiacchiera contro un’altra, questo è
crudele: è crudele perché distrugge la fama della persona. Ma, tu
sai, a me piace dire un’espressione quando parlo di questa crudeltà
della lingua: le chiacchiere sono un terrorismo; è il terrorismo
delle chiacchiere. La crudeltà della lingua, o quella che tu hai
sentito, è come buttare una bomba che distrugge te o distrugge
chiunque, e quello che la butta non si distrugge. Questo è un
terrorismo, è una cosa che noi dobbiamo vincere. Come si vince
questo? Tu hai scelto la strada giusta: il silenzio, la pazienza e
hai finito con quella parola tanto bella: il perdono. Ma perdonare
non è facile, perché uno può dire: “Sì, io perdono ma non mi
dimentico”. E tu sempre porterai con te questa crudeltà, questo
terrorismo delle parole brutte, delle parole che feriscono e che
cercano di buttarti fuori dalla comunità. C’è una parola in
italiano che io non conoscevo. Quando sono venuto le prime volte, qui
in Italia, l’ho imparato: “extracomunitari”, che si dice delle
persone di altri Paesi che vengono a vivere da noi. Ma proprio questa
crudeltà è quello che fa sì che tu, che sei di un altro Paese,
diventi un “extra-comunitario”: ti portano via dalla comunità,
non ti accolgono. Che è una cosa contro la quale dobbiamo lottare
tanto. Tu sei stata coraggiosa! Sei stata molto coraggiosa in questo.
Ma bisogna lottare contro questo terrorismo della lingua, contro
questo terrorismo delle chiacchiere, degli insulti, del cacciare via
la gente, sì, con insulti o dicendo loro cose che fanno loro male al
cuore. Si può perdonare totalmente? E’ una grazia che dobbiamo
chiedere al Signore. Noi, da noi stessi, noi non possiamo: facciamo
lo sforzo, tu lo hai fatto; ma è una grazia che ti dà il Signore,
il perdono, di perdonare il nemico, perdonare quello che ti ha
ferito, quello che ti ha fatto del male. Quando Gesù nel Vangelo ci
dice: “Chi ti dà uno schiaffo su una guancia, dagli l’altra”,
significa questo: lasciare nelle mani del Signore questa saggezza del
perdono, che è una grazia. Ma a noi spetta fare tutta la nostra
parte per perdonare. Ti ringrazio della tua testimonianza. E c’è
anche un altro atteggiamento che va proprio contro questo terrorismo
della lingua, siano le chiacchiere, gli insulti e tutto questo: è
l’atteggiamento della mitezza. Stare zitto, trattare bene gli
altri, non rispondere con un’altra cosa brutta. Come Gesù: Gesù
era mite di cuore. La mitezza. E noi viviamo in un mondo dove a un
insulto tu rispondi con un altro, è abituale questo. Ci insultiamo
l’uno con l’altro, e ci manca la mitezza. Chiedere la grazia
della mitezza, la mitezza di cuore. E lì è anche una grazia che
apre la strada al perdono. Ti ringrazio della tua testimonianza.
Ragazzo:
Caro
Papa Francesco, noi siamo tre ragazzi e un sacerdote dei 350 veronesi
che sono partiti per venire qua alla GMG ma hanno dovuto interrompere
il loro viaggio a Monaco, venerdì scorso, dopo l’attentato che
abbiamo vissuto tutti in prima persona, in quanto ci trovavamo lì
proprio in quelle ore. Ci è stato detto di tornare a casa, siamo
stati obbligati a tornare a casa, perché noi volevamo continuare il
nostro viaggio ma non ci è stato permesso. Fortunatamente, una volta
tornati, ci è stata data questa possibilità di tornare qua e noi
l’abbiamo presa con molta gioia, con molta speranza. Dopo tutto
quello che ci è successo, dopo la paura, ci siamo chiesti – e
vogliamo chiederLe: come facciamo noi giovani a vivere e a diffondere
la pace in questo mondo che è così pieno di odio?
Papa
Francesco:
Tu
hai detto due parole che sono chiave per capire tutto: pace e odio.
La pace costruisce ponti, l’odio è il costruttore dei muri. Tu
devi scegliere, nella vita: o faccio ponti, o faccio muri. I muri
dividono e l’odio cresce: quando c’è divisione, cresce l’odio.
I ponti uniscono, e quando c’è il ponte l’odio può andarsene
via, perché io posso sentire l’altro, parlare con l’altro. A me
piace pensare e dire che noi abbiamo, nelle nostre possibilità di
tutti i giorni, la capacità di fare un ponte umano. Quando tu
stringi la mano a un amico, a una persona, tu fai un ponte umano. Tu
fai un ponte. Invece, quando tu colpisci un altro, insulti un altro,
tu costruisci un muro. L’odio cresce sempre con i muri. Alle volte,
succede che tu voglia fare il ponte e ti lasciano con la mano tesa e
dall’altra parte non te la prendono: sono le umiliazioni che nella
vita noi dobbiamo subire per fare qualcosa di buono. Ma sempre fare i
ponti. E tu sei venuto qui: sei stato fermato e rimandato a casa; poi
hai fatto una scommessa per il ponte e per tornare un’altra volta:
questo è l’atteggiamento, sempre. C’è una difficoltà che mi
impedisce qualcosa? Torno indietro e vado avanti, torno e vado
avanti. Questo è quello che noi dobbiamo fare: fare dei ponti. Non
lasciarsi cadere a terra, non andare così: “mah, non posso…”,
no, sempre cercare il modo di fare ponti. Voi siete lì: con le mani,
fate ponti, voi tutti! Prendete le mani… ecco. Voglio vedere tanti
ponti umani… Ecco, così: alzate bene le mani. E’ così. Questo è
il programma di vita: fare ponti, ponti umani. Grazie.
D. –
Santo Padre, grazie, perché Lei questa sera ci ha fatto un regalo
straordinario! Grazie, Santo Padre. Grazie veramente.
Papa
Francesco:
Grazie
a voi e che il Signore vi benedica. Pregate per me!
VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
IN POLONIA
IN OCCASIONE DELLA XXXI GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ
(27-31 LUGLIO 2016)
VIDEOCOLLEGAMENTO CON I GIOVANI ITALIANI PRESENTI ALLA GMG
RIUNITI AL SANTUARIO SAN GIOVANNI PAOLO II
DIALOGO DEL SANTO PADRE CON I GIOVANI ITALIANI
Arcivescovado di Kraków
Mercoledì, 27 luglio 2016
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