E’ davvero una grande gioia per me celebrare insieme a tutti voi la nostra
festa del Grazie. E’ la prima volta che vivo con voi questo momento e non
nascondo la mia grande emozione. La parola “grazie” è una delle più importanti
di tutta la vita, la si impara fin da piccoli. Di
solito le prime parole che si imparano sono “mamma” e “papà”, le persone cui ci si rivolge per i
primi bisogni. Sono loro ad insegnarci poi che bisogna anche dire “grazie”. E’
un passo importantissimo, riconoscere che prima del bisogno c’è una relazione,
che la nostra vita non è dominata dai bisogni e dalle pretese ma che è essa
stessa dono di un altro. Noi non siamo al mondo per nostro volere, ci troviamo
qui per opera di altri, di un Altro.
La
Divina provvidenza ha voluto che in questa domenica la liturgia della Parola
proponesse la lettura del Libro della Genesi che racconta il famosissimo
episodio della caduta di Adamo ed Eva, il peccato originale. L’orgoglio insano
dei progenitori porta a non fidarsi più di Dio. Adamo ed Eva infrangono il comandamento rompendo l’alleanza e orientandosi
verso la morte. La dottrina del peccato originale è una delle verità più
semplici e profonde di tutta la sapienza cristiana e non viene quasi mai
predicata, strano. Sembra di vedere qui
descritta la parabola del nostro mondo occidentale: abbandonando Dio ci si
orienta verso la morte. Nella nostra società è possibile fare di tutto ma guai
a chi osa essere un fedele discepolo della Parola di Dio! In questo anno della
fede, siamo stati chiamati a rimettere al centro la questione di Dio. Che ne abbiamo fatto? A 50 anni dal Concilio Vaticano II ascoltiamo
con rinnovato stupore l’espressione “Popolo di Dio”. La nostra comunità è
davvero un popolo di Dio? L’analisi
del libro della Genesi è semplice e chiara: chi lascia Dio, lascia la vita. Ci
sono molte analisi che facciamo insieme a riguardo dell’oratorio. aprire,
chiudere, animare, organizzare, i giorni, gli orari, le persone. Mi sembra che sia importante aver chiara una cosa: la vita è dono di
Dio perché ne è lui l’origine. Se si
vuole avere vita bisogna mettere al primo posto la questione di Dio. E’ vero
per la nascita dei bambini ma anche delle comunità.
La storia della salvezza è davvero sorprendente! Mentre l’impero romano dominava il mondo ed era al massimo della sua
potenza, un’umile famiglia in una regione periferica riceveva la visita
dell’Angelo del Signore. Un uomo ed una donna, senza potere, senza troppi
soldi, senza parenti potenti, facevano spazio al loro bambino dal nome fondamentale:
Emanuele, Dio con noi. L’Altissimo avrebbe potuto lasciare gli uomini al loro
destino ed invece ha voluto entrare nella storia con il suo stesso Figlio. La
nuova alleanza nasce dall’amore di una famiglia e da alcuni pastori e
pescatori. Persone semplici che hanno
accolto la Parola di Dio con timore e con fede. Possiamo vedere qui
tratteggiata la forma della prima comunità cristiana, quella da cui prendere
inizio anche noi. Non chiediamoci, subito il servizio,
non chiediamo subito di fare, organizzare, preparare, domandiamo al nostro
fratello di credere a Dio e di rivolgersi a Lui con tutto il cuore.
Permettetemi un piccolo riferimento personale: il prete sta in una comunità non
prima di tutto per esserne il leader, non per il suo carisma, non per le sue
doti geniali e nemmeno perchè è capace di fare tutto, il prete nella comunità è
richiamo a Dio e a Cristo buon pastore prima di tutto. La suora è presente come
immagine e realtà della maternità della Chiesa, poi per tutto il resto. La Chiesa si rigenera non per l’organizzazione o
per la genialità, si rigenera solo se qualcuno inizia, insieme ad amare Dio con
più fede e più sincerità, sostenendo il prossimo con quel che si può. Ci
saranno sei giovani che accettano la sfida della comunità giovanile? Ci saranno
degli adulti che vogliono davvero essere co-operatori?
Concludiamo con
l’affermazione più importante, gioiosa e scandalosa di questa domenica. San
Paolo scrive: «dove abbondò il peccato sovrabbondò la grazia». Che logica folle
quella di Dio! Invece che condannarci viene con noi e rimane con noi, invece di
abbandonarci ci abbraccia col suo amore. Anzi dove più ci siamo allontanati da
lui più allunga il passo per venirci a prendere! Spalanchiamoci a lui con tutto il cuore e senza paura torniamo a lui con
noi stessi in mano. Diciamo grazie a Dio quest’oggi per un anno passato insieme
e diciamo grazie anche l’un l’altro per la pazienza e la fatica fatta
reciprocamente. Il Cardinale Scola mi ha insegnato una
lettura molto bella: tutte la fatiche nel fare, nell’organizzare e ancora di
più nell’andare d’accordo, nel portare pazienza ecc. non sono altro che le
doglie del parto che la Chiesa sperimenta per la nascita dell’uomo nuovo. Ecco
i campi già biondeggiano per la mietitura.
III domenica dopo
Pentecoste Gen 3,1-20; sal 129; Rm 5,18-21; Mt 1,20b-24b Lecco 9 giugno 2013
Ciao don, la tua bella omelia mi fa venire in mente una poesia di Neruda che porto sempre con me:
RispondiEliminaGrazie, parola "grazie",
che tu parta e tu ritorni,
che tu salga
e che tu scenda.
E' chiaro, non
tutto riempi,
parola "grazie",
ma
dove appare
il tuo piccolo petalo
scompaiono i pugnali dell'orgoglio
e compare un frammento di sorriso.
(Pablo Neruda)
A presto!
Federica
Grazie del commento fedele alla Parola di Dio e della sua attualizzazione. Grazie dell'umiltà con cui compie il suo ministero all'Oratorio. Prego perchè vengano buoni frutti.
RispondiEliminaGrazie a te Don !
RispondiEliminaMi sorprende sempre la tua capacita' di tradurre la parola di Dio e le cose che ci circondano in una strada precisa per il cammino della vita. complimenti e grazie della pubblicazione on line che permette anche chi non è di lecco di partecipare.
RispondiEliminaGrazie veramente don. Ringrazio anche Dio per il dono del tuo sacerdozio. Per una che stava "ore e ore sul marciapiede a chiacchierare!" il tuo scrivere è sempre un grande insegnamento.
EliminaGrazie anche a Federica per la bella poesia di Neruda.
E' sempre stato bello ascoltare le tue omelie, meno male che possiamo almeno leggerle. La cosa più sorprendente è sapere che quello di cui parli è possibile per la "nostra vita". Grazie per i 10 anni vissuti con noi.
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