martedì 26 febbraio 2013

Io sono Ratzingeriano - 2

Nell'Aprile del 2005 vissi per la prima volta l'emozione dell'elezione del nuovo Papa, non l'avevo mai provata! Ero prete da quasi tre anni e mi barcamenavo tra tamarri, adolescenti e catechiste cercando disperatamente di capire
cosa volesse dire essere prete (cioè col solito problema dell'io ingrossato che abbiamo tutti noi postmoderni). In sacrestia col mio amico don Carlo tifavo segretamente per il Card. Martini: non per altro ma perché lo conoscevo e lo stimavo molto.  Venne eletto quest'uomo mite e candido, un anziano professore tedesco che da tre anni cercava di dare le dimissioni. Non sapevo che dire. "Sono contento, a me piace", disse Olli il saggio prefetto che mi stava insegnando quel poco che so di oratorio. "Se piace a lui... mah" pensavo tra me e me.
I giovanotti della parrocchia mi invitarono (=mi obbligarono) ad accompagnarli  alla GMG di Colonia prevista per quell'estate. Vi immaginate io?! Un milanese pantofolaio, amante della pipa e della lettura in coda tra migliaia di giovani per mangiare da cani, dormire per terra e fingere di essere felice in una woodstock cattolica!Vabbé partii con lo zaino ed il materassino deciso a non diventare un papaboy.
In realtà mi divertii un casino e feci molte amicizie che si rivelano ancora oggi un vero tesoro. Ma soprattutto fui folgorato. Nella fredda notte di Colonia e nel pallido mattino Benedetto XVI lasciò una meditazione ed una omelia che saprei ripetere a memoria:

«I santi, abbiamo detto, sono i veri riformatori. Ora vorrei esprimerlo in modo ancora più radicale:  Solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo. Nel secolo appena passato abbiamo vissuto le rivoluzioni, il cui programma comune era di non attendere più l'intervento di Dio, ma di prendere totalmente nelle proprie mani il destino del mondo. E abbiamo visto che, con ciò, sempre un punto di vista umano e parziale veniva preso come misura assoluta d'orientamento. L'assolutizzazione di ciò che non è assoluto ma relativo si chiama totalitarismo. Non libera l'uomo, ma gli toglie la sua dignità e lo schiavizza. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l'amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l'amore? »


«Che cosa sta succedendo? Come Gesù può distribuire il suo Corpo e il suo Sangue? Facendo del pane il suo Corpo e del vino il suo Sangue, Egli anticipa la sua morte, l'accetta nel suo intimo e la trasforma in un'azione di amore. Quello che dall'esterno è violenza brutale - la crocifissione -, dall'interno diventa un atto di un amore che si dona totalmente. È questa la trasformazione sostanziale che si realizzò nel cenacolo e che era destinata a suscitare un processo di trasformazioni il cui termine ultimo è la trasformazione del mondo fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15, 28). Già da sempre tutti gli uomini in qualche modo aspettano nel loro cuore un cambiamento, una trasformazione del mondo. Ora questo è l'atto centrale di trasformazione che solo è in grado di rinnovare veramente il mondo: la violenza si trasforma in amore e quindi la morte in vita. Poiché questo atto tramuta la morte in amore, la morte come tale è già dal suo interno superata, è già presente in essa la risurrezione. La morte è, per così dire, intimamente ferita, così che non può più essere lei l'ultima parola. È questa, per usare un'immagine a noi oggi ben nota, la fissione nucleare portata nel più intimo dell'essere - la vittoria dell'amore sull'odio, la vittoria dell'amore sulla morte. Soltanto questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi la catena di trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo. Tutti gli altri cambiamenti rimangono superficiali e non salvano. Per questo parliamo di redenzione: quello che dal più intimo era necessario è avvenuto, e noi possiamo entrare in questo dinamismo. Gesù può distribuire il suo Corpo, perché realmente dona se stesso.
Questa prima fondamentale trasformazione della violenza in amore, della morte in vita trascina poi con sé le altre trasformazioni. Pane e vino diventano il suo Corpo e Sangue. A questo punto però la trasformazione non deve fermarsi, anzi è qui che deve cominciare appieno. Il Corpo e il Sangue di Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta. Noi stessi dobbiamo diventare Corpo di Cristo, consanguinei di Lui. Tutti mangiamo l'unico pane, ma questo significa che tra di noi diventiamo una cosa sola. L'adorazione, abbiamo detto, diventa unione. Dio non è più soltanto di fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui. »

Parole semplici e forti. Come il Papa. La chiarezza luminosa della fede unita alla ragione apriva un orizzonte di speranza.In ginocchio, infreddolito e su di un prato tedesco piansi di gioia. Fu così che divenni un papaboy.

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