Memorie di un prete di Prato - 3
Esperienze pastorali
In questi anni mi è toccato di affrontare alcune questioni
che oggi si direbbero “pastorali”. Ecco le riflessioni maturate.
I «tamarri»
L’oratorio al mio arrivo si presentava con una buona
frequenza quotidiana, un solido team di catechiste e un bel gruppo di
adolescenti e giovani che don Paolo
Stefanazzi aveva ben preparato e che furono
da subito disponibili a collaborare.
Il primo problema in cui mi sono imbattuto è stato quello
dei cosiddetti “tamarri”. Alcuni adolescenti, non numerosi ma rumorosi,
frequentavano l’oratorio assiduamente ma senza aderire alle proposte e anzi con
comportamenti di sfida aperta nei confronti degli altri: ragazzi, adulti ed
educatori. La gestione quotidiana risultava segnata da volgarità, danni, sfide
e tensioni continue. Con qualche giovane finimmo anche in mezzo ad un paio di
risse durante le serate della festa patronale. L’apice di questa vicenda si
raggiunse quando una sera, durante una festa coi giovani, scoprimmo che alcuni
“non identificati” avevano dato fuoco al portoncino di casa mia.
Non nego di essere stato in grande difficoltà, di aver avuto
anche paura e di non aver saputo cosa fare. Ma proprio in quella occasione
scoprii una vicinanza e un sostegno inattesi da parte di un numero
ragguardevole di persone della parrocchia. Nacque in tutti la convinzione delle
necessità di un cambiamento di stile. Gli educatori si strinsero in un rapporto
più vivo che li spinse ad approfondire le motivazioni di ciò che facevano e a
crescere nello stile di carità e verità. Alcuni papà si resero disponibili per un
servizio di presenza in oratorio che aiutò a creare un clima più vivo e
positivo. Qualcuno dei ragazzi in questione si lasciò coinvolgere nelle
attività scegliendo di cambiare atteggiamento qualcheduno scelse altre vie.
Il problema si è riproposto periodicamente ma mai più con
quella violenza. Animare con gioia e positività l’ambiente del cortile è la
maniera migliore per evitare che i malintenzionati vi trovassero casa. E’ stata
una vera gioia, al decimo anno, potersi recare al carcere di san Vittore in
visita ad uno di quei ragazzi e poterlo aiutare nel rifarsi una vita.
I movimenti
Il primo giorno in cui aprii l’oratorio nel settembre del
2002 mi trovavo sulla porta d’ingresso e vidi arrivare due ragazzini delle
medie il pallone sotto braccio. Mi salutarono ed entrarono per giocare. Un
adulto che si trovava lì con me disse: «Quei due lì non guardarli nemmeno: sono
ciellini non sono il futuro dell’oratorio». Così per la prima volta, dal vivo,
mi sono imbattuto nella questione del rapporto tra parrocchia e movimenti
ecclesiali. Scoprii ben presto che un nutrito gruppo di famiglie frequentava
assiduamente il movimento di Comunione e Liberazione, si trovava qualche
famiglia legata ai Focolari, all’Opus Dei, diverse avevano fatto l’esperienza
Scout e moltissime persone erano legate al mondo dei Salesiani. A prima vista
la realtà appariva frammentata.
Celebrando la Messa del mattino pian piano venni a sapere che
quella coppia di devoti signori presenti ogni mattino in seconda panca erano focolarini;
due panche dietro ogni mattina sedeva la presidente dell’Azione Cattolica e suo
marito; quelli seduti a destra erano di CL, quelli a metà chiesa dell’Opus Dei
e la signora verso il crocefisso simpatizzava per Nomadelfia. Pensai: “Beh… se ogni
mattina si trovano tutti alla stessa celebrazione vuol dire che hanno molto in
comune”. In me iniziò un lavoro molto più serio di ricerca sul senso della vera
appartenenza. Mi chiedevo: “io cosa propongo?” e in maniera ancora più
radicale: “a chi appartengo?”. Il mistero mi chiamava ad una nuova conoscenza. Lessi
e ricercai più che potevo, passavo le notti a pensare e ripensare su ogni
sfumatura delle frasi che sentivo. Cercavo di conciliare, approfondire e
scartare le ipotesi sbagliate. Volevo trovare una sintesi nuova e così criticavo
tutto quello che sapevo e che facevo, ero stimolato dalla realtà a non sedermi.
Fu una grazia, nel 2005, l’elezione di papa Benedetto XVI. La sua teologia
chiara e profonda mi fece da guida.
Nel solco del magistero di Giovanni Paolo II il nuovo Papa
invitò nuovamente la Chiesa a considerare i movimenti come una ricchezza. Noi,
con gli adulti e i giovani che ci stavano, iniziammo a prendere tutte le
provocazioni che ci venivano da quello che accadeva e dalle altre esperienze
per crescere sempre più. Il paragone coi movimenti spinse me e i ragazzi
dell’oratorio a cercare una sempre maggiore serietà nelle iniziative che preparavamo.
Credo che intendesse questo il Papa quando diceva che i movimenti sono una
ricchezza per tutta la Chiesa. Alcuni ragazzi hanno capito e apprezzato.
Faticando abbiamo creato insieme la Comunità Giovanile. Altri hanno preferito
proseguire il proprio percorso in altri ambienti. Tutti o quasi, direi hanno
conservato stima della serietà del percorso dell’Oratorio.
Il nuovo Arcivescovo, Angelo Scola, oggi spesso ripete che
la Comunione nella Chiesa è unità nella pluriformità, formula descrittiva che
determina un corollario etico importante: nel giudizio reciproco, prima e più
di ogni altra appartenenza, deve essere determinante quella battesimale. Riguardo
alla mia personale posizione dovrei scrivere ancora troppo e diverrei noioso
più di quanto non lo sia già stato fin qui.
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