Io un giorno crescerò
e nel cielo della vita volerò
Non so più nemmeno a quando risalga la prima volta che ho
sentito LA canzone. Mi si è appiccicata addosso e non si è più levata. Di certo
l'ho ascoltata in macchina con Sergio all'Elba mentre ci faceva storia della
musica leggera italiana cantando lui stesso.
Ho iniziato a seguire i Nomadi quando era da poco
scomparso il loro storico leader, Augusto Daolio. Le foto lo ritraggono sempre
sul palco con la barba lunga fino all'ombelico, gli occhiali tondi e colorati,
vestito in maniera dimessa e sempre a fianco di Beppe Carletti l'altro vero
nomade. Avevano iniziato negli anni '60
ottenendo grandi successi dal sodalizio con Guccini ai primi posti nelle
classifiche. Poi
un silenzio astioso nei loro confronti da parte delle case di
distribuzione e dai grandi circuiti commerciali. Augusto e Beppe non si sono
scoraggiati a hanno continuato a cantare per le piazze d'Italia nelle feste dell'unità o nelle sagre paesane in una dimensione umana e familiare che ben si addiceva al loro stile. Molte volte li hanno ritenuti morti e stramorti ma sono ancora lì con i loro fans club, le iniziative di solidarietà e i loro cento concerti all'anno.
Augusto era un personaggio assolutamente unico, un
artista poliedrico, un saggio ed un semplice. Uno che avrebbe potuto fare una
carriera da solista unica ed invece non ritenne mai di interessarsi di soldi,
classifiche o moda. Aveva una voce unica, forse non pulitissima ma di una
estensione eccezionale. Era disposto a cantare qualunque pezzo e qualunque
musica anche per 3 o 4 ore di fila. Coltivava un rapporto unico col pubblico o meglio
col "popolo nomade" fatto di gente semplice e buona, poco avvezza alle
complicazioni e sempre aperta alla solidarietà. Se glielo chiedevano poteva ripetere la canzone più di una volta e fino a 5 o 6 volte.
Sono stato ad almeno tre raduni nazionali dei fans a
Casalromano e a diversi concerti in varie parti d'Italia. Più che concerti
erano liturgie vere proprie che nel gran finale avevano sempre Canzone per
un'amica, Dio è morto e infine Io Vagabondo. "Sinistra
dei valori" la chiamavano ad un certo punto, io con tutti i miei cromosomi
di varie origini non mi sono mai sentito fuori posto. Il raduno di Casalromano
aveva anche la Messa in suffragio di Augusto e Dante. Cantata, ricantata per
infinite volte come l'inno di un popolo, di Io vagabondo esistono infinite versioni perchè
molti artisti vi si sono voluti accostare in vari momenti, soprattutto nei vari
"Tributo ad Augusto", i dischi fatti dopo la sua morte con le voci
dei più famosi cantanti italiani. I Nomadi stessi dopo Augusto hanno avuto due
cantati Francesco e Danilo, poi solo Danilo con l'aiuto di Massimo ed ora
Cristiano. Sul blog la versione che preferisco con i volti dei ragazzi di Prato
che mi prepararono per i 10 anni di messa e che divenne il mio saluto.
ma un bimbo che ne sa
sempre azzurra non può essere l'età
In tutte le feste o le serate oratoriane dominate dal
Karaoke ad un certo punto viene tirato dentro il prete. O perché nessuno vuole
esibirsi o per testare le sue virtù umane. Essendo io uomo di spettacolo non ci
vuole molto a convincermi. Essendo negato nel ballo accetto di cantare la MIA
canzone tra la noia ed il divertimento compassionevole degli astanti.
Poi una notte di settembre mi svegliai
Il momento più critico è sempre il "Poi". Ormai
ho imparato a dissimulare le stecche, a non abbattermi e a ripartire di
slancio. Cesare Augusto affrontava il passaggio cambiando nota senza che i più
se ne si accorgessero.
il vento sulla pelle
sul mio corpo il chiarore delle stelle
chissà dov'era casa mia
e quel bambino che giocava in un cortile
Non tutti i più giovani lo sanno ma il cortile è stato
uno degli ambienti educativi principali dell'Italia almeno fino agli anni '80.
Che fosse di città o di campagna il cortile è a metà tra la casa e la strada,
concesso per giocare sotto lo sguardo vigile di mamme, zie e nonne alla
finestra. Si giocava coi vicini, coi cugini e con i figli del portinaio. Non
bisognava gridare troppo e se si giocava a calcio si doveva fare estrema
attenzione alle pallonate sui vetri. Non per niente gli oratori, da don Bosco
in poi, sono dei cortili.
Io vagabondo che son io
vagabondo che non sono altro
soldi in tasca non ne ho
ma lassù mi è rimasto Dio
Che cosa mi piace di questa canzone? me lo chiedo sempre.
Sento una corrispondenza unica in quel brivido della partenza, dell'uscire di
casa per andare verso la vita ed il destino. Sento la paura dell'aver lasciato
qualcosa di sicuro senza sapere come andrà, sento la necessità di andare come
dimensione essenziale della vita, il cammino ancora una volta. Sento un profumo
francescano di vocazione in quell'essere senza soldi ma sentirsi protetti da
Dio.
Sì la strada è ancora là
un deserto mi sembrava la città
ma un bimbo che ne sa
sempre azzurra non può essere l'età
La ripresa della seconda strofa mi piace tantissimo.
Alterna memoria a consapevolezza e riprende sempre quel brivido della partenza
che non si può rimandare, che è urgenza umana fondamentale. Non si può non
partire perché non si può non vivere.
Poi una notte di settembre me ne andai
il fuoco di un camino
non è caldo come il sole del mattino
chissà dov'era casa mia
e quel bambino che giocava in un cortile
Io vagabondo che son io
vagabondo che non sono altro
soldi in tasca non ne ho
ma lassù mi è rimasto Dio
Alcuni anni fa' il nostro Cardinale Scola tenne una
famosa riflessione che si intitolava "Da vagabondi a pellegrini".
Spiegava che l'uomo postmoderno si sente vagabondo perchè ha perso la meta che
è Dio mentre nel diventare cristiani si diventa pellegrini perché si scova la
meta della vita. Io come sempre la copiai e la riproposi come se fosse mia.
Qualche ragazzo impertinente mi fece notare che io però continuavo in tutte le
feste a cantare Io Vagabondo. Colto in fallo non mi scompongo. Abbiamo
tutti un io un po' vagabondo, un io che spinge ad uscire, ad andare, un io che
non può stare fermo. Nella canzone di dice tutto questo e che rimane anche un
punto fermo: Dio.
Quest'estate ho assistito ad una serata estiva in piazza
al mare. Un simpatico trasformista cantava, ballava e si cambiava di abito per
due ore senza fermarsi . Faceva ripercorrere la storia d'Italia con alcune
canzoni da Modugno agli 883, da Renato Zero a Jovanotti ecc. ecc. Un bel po' di
gente cantava e qualcuno ballava. Per finire ha cantato io Vagabondo. Per la
piazza è corso un fremito. Cantavano dai settantenni ai ragazzini di quindici anni.
Tesi a sentirsi in cammino riconoscendosi vagabondi e forse, un po', grazie a
quel "Dio" nell'ultima parola... pellegrini.
Ciao Filippo, qualcuno si è commosso molto.... e non solo per la citazione.....Un abbraccio
RispondiEliminaQuando gioco a carte ho preso il brutto vizio di arrabbiarmi come faceva lui, solo che non sono forte come lui :-)
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