lunedì 18 giugno 2012

STAGE / PARTITA IVA / INSERIMENTO / COLLABORAZIONE / CO.CO…. COSA?

Si incomincia con uno stage, poi si sta a casa un mese e poi magari ti rinnovano lo stage, poi se va bene ti offrono una collaborazione per un anno e poi un contratto a progetto di 2 anni o a partita iva e poi… “del doman non c’è certezza”…
Si entra in azienda sapendo di far parte di una categoria di serie B (forse addirittura di serie C), si è visti come coloro che vanno sfruttati e sempre più spesso come un mero costo, esattamente come la benzina che continua a salire e che incide sulla produzione.

Forse spesso un certo lassismo delle nuove generazioni, una scarsa voglia di impegnarsi a fondo, incidono su come siano considerati e remunerati. Credo in realtà che sia il classico cane che si morde la coda: non sono considerato quindi non mi impegno; sono l’ultima ruota del carro e quindi chi se ne importa del lavoro.
Ma come si fa a vivere da soli o costruire una famiglia a 900 euro al mese? O addirittura a 400/500 euro? Come si fa a comprare casa con un contratto che scade tra 24 mesi (se va bene)? Come si fa a lavorare fianco a fianco con colleghi remunerati e trattati in maniera molto diverse solo perché sono entrati nel mondo del lavoro qualche anno prima?
In una città che desidera tornare “da bere”, dove il consumismo, l’egoismo e l’edonismo la fanno da padrone questa forte differenza tra generazioni anche vicine, i tutelati e gli sherpa, genera tensioni e disaffezione al concetto di lavoro come realizzazione di sé. Molto meglio vivere da bamboccioni in famiglia e godersi la gioventù in disco e nei locali notturni.
I giovani hanno perso purtroppo quel concetto di lavoro come fatica ma anche come via alla costruzione della propria esistenza.
Oppure in altri casi i giovani hanno perso la speranza a costruire qualcosa perché si sentono presi in giro dal mondo del lavoro e dal nostro Paese e quindi emigrano all’estero.
Come è possibile che intere classi da 30-35 studenti di dottorandi non trovino un lavoro degno nelle università italiane e finiscono per trovarlo all’estero ed avere in molti casi brillanti carriere?
Com’è possibile che il lavoro intellettuale sia remunerato meno di quello manuale? Com’è possibile che il Capitale valga molto, ma molto di più, del Lavoro? Com’è possibile che la differenza tra lo stipendio base dell’impiegato e quello dell’amministratore di un’azienda sia cresciuto a dismisura?
Davanti a tutte queste anomalie credo si debba prendere spunto dall’enciclica “Caritas in veritate” e riconvertire la società verso un “capitalismo sociale” dove l’individuo, l’essere umano, sia al centro delle scelte politiche, sociali ed economiche.
In Mondo governato dalla carità e dall’etica lo sviluppo diventa sostenibile ed ogni fattore produttivo viene messo al servizio del vivere e dell’esistenza umana, l’economia così evolve “verso esiti pienamente umani”. Lo sviluppo non sarà più basato sulla produttività e l’utilitarismo ma, se se vuole essere autenticamente umano, deve invece “fare spazio al principio di dono e gratuità”.
Lorenzo Dotti

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