Si incomincia con uno stage, poi si sta a casa un mese e poi
magari ti rinnovano lo stage, poi se va bene ti offrono una collaborazione per
un anno e poi un contratto a progetto di 2 anni o a partita iva e poi… “del
doman non c’è certezza”…
Si entra in azienda sapendo di far parte di una categoria di
serie B (forse addirittura di serie C), si è visti come coloro che vanno
sfruttati e sempre più spesso come un mero costo, esattamente come la benzina
che continua a salire e che incide sulla produzione.
Forse spesso un certo lassismo delle nuove generazioni, una
scarsa voglia di impegnarsi a fondo, incidono su come siano considerati e
remunerati. Credo in realtà che sia il classico cane che si morde la coda: non
sono considerato quindi non mi impegno; sono l’ultima ruota del carro e quindi
chi se ne importa del lavoro.
Ma come si fa a vivere da soli o costruire una famiglia a 900
euro al mese? O addirittura a 400/500 euro? Come si fa a comprare casa con un
contratto che scade tra 24 mesi (se va bene)? Come si fa a lavorare fianco a
fianco con colleghi remunerati e trattati in maniera molto diverse solo perché
sono entrati nel mondo del lavoro qualche anno prima?
In una città che desidera tornare “da bere”, dove il
consumismo, l’egoismo e l’edonismo la fanno da padrone questa forte differenza
tra generazioni anche vicine, i tutelati e gli sherpa, genera tensioni e
disaffezione al concetto di lavoro come realizzazione di sé. Molto meglio
vivere da bamboccioni in famiglia e godersi la gioventù in disco e nei locali notturni.
I giovani hanno perso purtroppo quel concetto di lavoro come
fatica ma anche come via alla costruzione della propria esistenza.
Oppure in altri casi i giovani hanno perso la speranza a
costruire qualcosa perché si sentono presi in giro dal mondo del lavoro e dal
nostro Paese e quindi emigrano all’estero.
Come è possibile che intere classi da 30-35 studenti di
dottorandi non trovino un lavoro degno nelle università italiane e finiscono
per trovarlo all’estero ed avere in molti casi brillanti carriere?
Com’è possibile che il lavoro intellettuale sia remunerato
meno di quello manuale? Com’è possibile che il Capitale valga molto, ma molto
di più, del Lavoro? Com’è possibile che la differenza tra lo stipendio base
dell’impiegato e quello dell’amministratore di un’azienda sia cresciuto a
dismisura?
Davanti a tutte queste anomalie credo si debba prendere
spunto dall’enciclica “Caritas in veritate” e riconvertire la società verso un
“capitalismo sociale” dove l’individuo, l’essere umano, sia al centro delle
scelte politiche, sociali ed economiche.
In Mondo governato dalla carità e dall’etica lo sviluppo
diventa sostenibile ed ogni fattore produttivo viene messo al servizio del
vivere e dell’esistenza umana, l’economia così evolve “verso esiti pienamente
umani”. Lo sviluppo non sarà più basato sulla produttività e l’utilitarismo ma,
se se vuole essere autenticamente umano, deve invece “fare spazio al principio
di dono e gratuità”.
Lorenzo Dotti
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